Come e perché gli esseri umani pensano e agiscono nei modi che facciamo? Per rispondere a questa domanda, il dottor Paul Badcock ei suoi colleghi hanno recentemente proposto una teoria del cervello umano che combina prove dalla psicologia evolutiva e dello sviluppo, neuroscienze e biologia. Questa teoria postula che il cervello umano sia un sistema adattativo complesso, composto da strutture relativamente specializzate e di dominio generale che lavorano in tandem per generare risposte adattive all’ambiente. Probabilmente, il loro modello gerarchicamente meccanicistico di mente (HMM) ci avvicina a una comprensione completa del cervello.
Il desiderio di comprendere il più grande enigma di tutti – le nostre menti – è stato la forza trainante di molti sforzi scientifici, portando allo sviluppo di teorie ed esperimenti volti a spiegare la meccanica dell’essere umano. Pensieri, sentimenti e comportamenti umani sono radicati nel cervello, dove una complessa rete di cellule riceve informazioni dall’ambiente interno ed esterno, trasformando queste informazioni nella nostra esperienza di noi stessi, del mondo che ci circonda e delle nostre relazioni con esso. Va da sé che come questo accade è ancora in fase di studio.
Rispetto a quelli precedenti, il 21 ° secolo ha testimoniato enormi progressi nella nostra comprensione del cervello. La ricerca è ancora in corso, naturalmente, anche se ora più ecumenica che mai – riunendo campi che sono stati a lungo divisi. All’avanguardia dei progressi nella ricerca sintetica e interdisciplinare, il gruppo guidato dal Dr Paul Badcock ha recentemente proposto un modello del cervello che sintetizza i principali paradigmi della psicologia, delle neuroscienze e della biologia per spiegare perché e come pensiamo e agiamo nei modi in cui lo facciamo.
La loro ipotesi, chiamata Mente Gerarchicamente Meccanicistica (HMM), combina due affermazioni consolidate. La prima affermazione, formulata dal collega del dottor Badcock, il professor Karl Friston, postula che il cervello umano è una “macchina di previsione” gerarchica che si sforza di migliorare il suo modello del mondo generando cicli adattivi di percezione e azione che operano sinergicamente per ridurre la nostra incertezza sull’ambiente. La seconda affermazione, basata sulle famose quattro domande di Tinbergen in etologia, propone che per comprendere i pensieri e i comportamenti umani, le ipotesi devono essere sviluppate e testate su più livelli di analisi nella scienza psicologica. In altre parole, i ricercatori che cercano di spiegare i tratti psicologici dovrebbero cercare di capire perché un dato tratto potrebbe essere adattivo, insieme a come emerge dall’interazione dinamica tra processi meccanicistici evolutivi, evolutivi e in tempo reale.
Il modo in cui il cervello è cablato
L’HMM è costruito sull’idea che il cervello sia composto da componenti distinti che hanno funzioni diverse e che scambiano informazioni in modo gerarchico e integrato. Ad esempio, ci sono parti del cervello che sono responsabili dell’elaborazione degli stimoli sensoriali e del controllo di particolari tipi di movimento, mentre altre parti del cervello, come la corteccia prefrontale, si integrano e agiscono sulle informazioni elaborate altrove per generare decisioni esecutive. Elementi più piccoli e più specializzati sono incapsulati in elementi più grandi per funzionalità combinate, agendo in una sorta di gerarchia che crea dipendenze tra le strutture. Questa architettura è caratterizzata da due tipi di lavorazione: elaborazione funzionale specializzata che si verifica su una breve distanza, all’interno di una regione neurale densa e focalizzata; combinata con un’integrazione funzionale globale che si verifica su distanze più lunghe tra le strutture. In altre parole, i nostri pensieri, sentimenti e azioni sono determinati dalla complessa integrazione a lunga distanza di processi localizzati, creati da popolazioni specializzate di cellule collegate ad altre regioni che svolgono ciascuna funzioni diverse.
Prove per questa architettura
L’idea che il cervello sia costruito con componenti distinte ma collaboranti è stata a lungo riconosciuta ed è supportata da un ampio supporto empirico. I rapporti che riassumono i risultati dei dati di neuroimaging hanno fornito un chiaro supporto per il continuum tra i processi specifici del dominio e del dominio generale nel cervello, dimostrando che le singole regioni neurali svolgono funzioni distinte e interagiscono con diverse regioni in contesti diversi, a seconda delle esigenze del compito in questione. Ulteriori ricerche hanno dimostrato che una rete neurale può essere rappresentata come una raccolta di nodi e bordi, che rappresentano le strutture cerebrali e le loro connessioni. Studi di connettività strutturale e funzionale hanno scoperto che ogni struttura cerebrale fa parte di una rete distinta di connessioni gerarchiche con altre strutture neurali, che consente al cervello di ottimizzare il delicato equilibrio tra elaborazione locale e specializzata e funzione cerebrale globale. In particolare, studi sugli animali hanno anche dimostrato che una struttura gerarchica è una caratteristica del cervello dei mammiferi.
Come e perché gli esseri umani pensano e agiscono nel modo in cui facciamo?
Il modo in cui funziona il cervello
Le prove più forti a sostegno dell’architettura cerebrale proposta provengono dagli approcci di codifica predittiva nelle neuroscienze, insieme agli studi basati sulla teoria dei grafi nelle neuroscienze di rete. Ciò fornisce una spiegazione funzionale della struttura gerarchica del cervello. Più specificamente, il paradigma di codifica predittiva propone che il cervello sia una macchina di inferenza, che cerca di migliorare le sue previsioni sul mondo riducendo le discrepanze tra ciò che si aspetta e ciò che sperimenta. Secondo questa prospettiva, il cervello incarna letteralmente una gerarchia di ipotesi sul mondo basata su imperativi evolutivi e osservazioni esperienziali e apprese, che si pensa siano codificate da cellule piramidali specializzate e profonde. Il cervello contiene anche informazioni sugli errori di previsione, codificati da cellule piramidali superficiali, che vengono utilizzate per rivedere le aspettative in modo bottom-up. L’influenza relativa delle previsioni discendenti rispetto ai segnali di errore ascendenti è messa a punto dalla loro “precisione”, che deriva da processi cognitivi come la selezione attentiva e l’attenuazione sensoriale che assicurano che gli individui non si registrino e rispondano perennemente a tutti gli stimoli che ricevono.
Le origini del cervello
La teoria dei sistemi evolutivi su cui poggia l’HMM propone che il cervello sia un sistema adattativo complesso che è emerso dall’influenza della selezione che agisce sulla dinamica dei fenotipi umani su diverse scale temporali. Regioni primitive e altamente specializzate che occupano gli strati più bassi della gerarchia corticale sono emerse dall’influenza della selezione naturale nel tempo evolutivo; le influenze epigenetiche e l’evoluzione culturale modellano le dinamiche neurali nel corso delle generazioni; le differenze individuali nella forma e nella funzione neurali sorgono nel corso dello sviluppo; e diversi modelli di cognizione e comportamento emergono da meccanismi neurali che rispondono in modo flessibile a diversi contesti. Da un lato, ciò significa che il cervello comprende regioni antiche, relativamente “specifiche del dominio” che riflettono adattamenti canalizzati dalla selezione naturale; dall’altro, comprende reti relativamente recenti, altamente integrate o “dominio generale” che sono altamente plastiche, sensibili ai cambiamenti dello sviluppo e ci permettono di conoscere e rispondere in modo flessibile ai nostri ambienti in continua evoluzione. In questo modo, evoluzione e sviluppo operano insieme per affinare le nostre previsioni neurocognitive sul mondo e, per estensione, migliorare la nostra capacità di ridurre la nostra incertezza o sorpresa.
L’HMM e la depressione
Il gruppo di Badcock ha applicato questo modello alla depressione, a partire dal considerare la depressione come un tratto adattivo.
Per illustrare, il gruppo del dottor Badcock ha applicato l’HMM alla depressione, a partire dal considerare la nostra capacità di stati d’animo depressi come un tratto adattivo. Sebbene si riconosca che la depressione è una condizione eterogenea che deriva da una serie di cause, propongono che il lieve-moderata livelli di depressione del tono dell’umore che tutti noi l’esperienza di volta in volta possono essere ampiamente descritto come un tratto adattivo che si verifica quando gli individui sono particolarmente vulnerabili ai negativi risultati sociali, come il rifiuto, la sconfitta o la perdita. Qui, traggono da prove ad ampio raggio che soddisfano tutte e quattro le domande di Tinbergen per suggerire che la depressione riflette una strategia evoluta, “avversa al rischio” che risponde in modo adattivo a condizioni sociali nocive
(ad esempio, esclusione) riducendo al minimo la probabilità di scambi interpersonali imprevedibili. Raggiunge questa funzione evoluta causando cambiamenti adattivi nella percezione, come aumentare la sensibilità di una persona ai rischi sociali e all’azione, come il ritiro sociale e la ricerca di aiuto. L’idea di base qui è che la depressione riduce la nostra incertezza sul mondo sociale assicurando che ci comportiamo in modi che attraggono supporto ed evitano conflitti o spiacevoli sorprese. Come previsto dall’HMM, ci sono ampie ricerche per mostrare come questo stato depressivo dipenda dalle interazioni gerarchiche tra regioni distinte nel cervello, molte delle quali sono responsabili dell’elaborazione della minaccia e della ricompensa sociale.
Guardando avanti
Mentre l’HMM è un passo verso l’integrazione delle conoscenze esistenti in una teoria completa che spiega il sistema più complesso conosciuto dall’uomo, il suo sviluppo è solo iniziato. Il valore scientifico di questa teoria dipende in ultima analisi dalle ipotesi e dalle prove che genera. Centrale per l’HMM è la necessità di sviluppare ipotesi verificabili che riuniscano intuizioni che abbracciano le molteplici sotto-discipline della psicologia con teorie e metodi ricavati dalle neuroscienze. Colmare queste divisioni transdisciplinari è stata a lungo una sfida, ma il dottor Badcock ei suoi colleghi sperano che il loro modello pone una nuova base su cui costruire.
Personal Response
Qual è secondo lei la sfida più grande nell’integrare la ricerca in settori così diversi e altamente specializzati?
La sfida più difficile sta nel nostro tentativo di fornire un modello unificante e altamente teorico del cervello che in realtà motiva altri ricercatori a prenderlo per i propri scopi. Altrimenti, ci sono due ostacoli principali in gioco. Il primo di questi è teorico e deriva dalla necessità di sviluppare ipotesi basate sull’evidenza che abbracciano l’ampiezza della psicologia, insieme a ricerche pertinenti nelle neuroscienze. Per testare tali ipotesi, la seconda sfida è metodologica: richiede che i metodi computazionali e di imaging nelle neuroscienze siano sposati più strettamente con metodi sperimentali, questionari e osservazionali in psicologia.